Durante il percorso scolastico

Testo tratto dalla relazione di Emilia De Rienzo –  insegnante e scrittrice

Tutti i bambini entrano nella scuola con un loro bagaglio di conoscenze, di sentimenti, di emozioni e di vissuti.

Quasi sicuramente un bambino affidato è un bambino provato, un bambino che ha avuto una storia difficile  e che ha subito traumi più o meno profondi che lo hanno segnato. Sono bambini insicuri, che manifestano il proprio disagio sotto varie forme. Il più delle volte non riescono a stabilire rapporti soddisfacenti con il mondo esterno, rischiano di essere esclusi dal gruppo dei pari, faticano  ad avere amici. Spesso faticano nell’apprendimento.  Ed è proprio questa la funzione della famiglia affidataria: fornirgli un appoggio a cui potersi aggrappare, ridargli la speranza di un riscatto, ridargli la voglia di desiderare. Non avere desideri vuol dire non avere più punti di riferimento e quindi smarrirsi.  Nella famiglia affidataria possono trovare pian piano quella sicurezza, quel senso di appartenenza di cui tanto hanno bisogno.

Ma la famiglia non basta: anche la scuola deve fare la sua parte. La scuola deve essere una comunità che li accetti con tutta la loro storia perché possa accettarla anche lui, che accetti la sua diversità e ne faccia tesoro. Sono bambini che hanno bisogno di prendere, ma anche di dare, di trovare cioè un posto che gli restituisca dignità tra gli altri.

La parola “affidamento” deriva dal latino “fidere” che vuol dire “avere fiducia” “affidarsi”, potersi abbandonare. In effetti l’affidamento può dirsi riuscito quando il bambino pian piano sente nascere dentro la fiducia nelle persone che stanno prendendosi cura di lui.

Quando siamo all’interno di una comunità come quella scolastica tutti i bambini  dovrebbero sentirsi affidati. Tutti dovrebbero trovare un ambiente accogliente, di persone che sappiano accogliere tutti i bambini: adottivi, affidati, stranieri, disabili, tranquilli, meno tranquilli, di persone che sappiano vederli semplicemente come bambini, senza etichette da conoscere e da cui farsi conoscere. Il collante del legame tra genitori – bambino – insegnanti dovrebbe essere proprio la fiducia. Un rapporto solidale tra genitori e insegnanti nell’interesse del bambino; bisogna assolutamente lavorare per questo obiettivo.

  •  Quello che professionalmente si chiede ad un insegnante è la capacità di essere una persona adulta e matura in grado di esprimere la propria genitorialità, la capacità cioè che non è solo del padre e della madre, di prendersi cura di sé e degli altri, di essere una figura di riferimento al fianco di soggetti di crescita.
  • Quello che si chiede ai genitori è un dialogo costruttivo e paziente nella consapevolezza che il ruolo dell’insegnante è difficile e delicato. Incontrarsi, parlare, partendo dai bambini senza diffidenze e paure porterebbe a grossi risultati.
  • Anche i servizi sociali dovrebbero entrare in relazione con la scuola (nell’affido già sono in relazione con la famiglia affidataria).

Bisogna invitare tutti ad essere più corresponsabili. Una classe è una classe di bambini e di insegnanti, ma anche di genitori che in qualche modo devono fare la loro parte. E’ questo che dobbiamo insegnare ai bambini: in una comunità nessuno dovrebbe sentirsi mai solo. Dentro molti di questi ragazzi,  invece, si nasconde spessori gelo del silenzio e della solitudine. La solitudine che conoscono i bambini che hanno sofferto è vuoto, smarrimento, anche angoscia, perché è venuta loro a mancare quella capacità di “star soli in presenza di qualcuno”. L’angoscia di chi si trova davanti ad un’indifferenza ripetuta, di chi vivendo tra gli altri e cercando comprensione, ha incontrato solo delusione e amarezza. Si tratta di un senso di solitudine che li porta a nascondere i propri sentimenti, in un certo senso ad archiviarli perché  sono convinti che nessuno possa comprenderli. Se non si cerca di aprire una breccia nella barriera che il bambino percepisce tra sé e l’altro, La barriera si rafforzerà sempre di più. Ai bambini e alle loro storie però ci si accosta in punta di piedi, accettando i loro silenzi, i loro rifiuti. Si aspetta pazienti un segno un segno di avvicinamento, non per inondarli dei nostri discorsi e dei nostri consigli, ma per far loro sentire la nostra presenza e il nostro interesse. Quello che hanno bisogno prima di tutto è di ascolto. Non è tanto importante cosa ti dicono ma come si sentono con te.

In questo contesto proprio il bambino più difficile, con una storia alle spalle più problematica

  • Dovrà capire che il posto, dove è entrato, è un posto speciale
  • Dove anche lui, che si sente a volte triste, arrabbiato, solo, senza spesso neanche capire fino in fondo perché, troverà un luogo caldo e disponibile ad ascoltarlo
  • Ad ascoltare non solo quello che sa ma anche quello che sente. 

Tante volte noi insegnanti pensiamo che di fronte a bambini problematici debbano essere gli psicologi ad intervenire ed in parte è vero. Ma dimentichiamo che prima di tutto, tutti i bambini, anche quello apparentemente più equilibrati hanno bisogno di atmosfere calde ed umane per crescere sani e che comunque la quotidianità è terapeutica di per sé, senza una buona quotidianità non esiste cura che tenga.

Di grande interesse il libro della stessa autrice Star bene insieme a scuola si può? inoltre si possono visionare qui i Percorsi didattici realizzati in classe: non hanno la pretesa di esaurire il tema dell’adozione  ma vogliono costituire un momento di riflessione sulla genitorialità, e uno stimolo per la progettazione di altri itinerari.

Di sicuro interesse la scheda  SpaziO Scuola

Scheda a cura dell’Anfaa

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